Accornero e “Le radici del lavoro che cambia"

26 / 10 / 2018

In tempi di lavoro liquido, in cui unica certezza è l’incertezza in cui versano milioni di lavoratori che sull’attuale modello possono fondare ben poco della loro vita, al contrario di quanto invece accadeva nei decenni passati, la recente scomparsa di Aris Accornero priva tutti di una guida vera. Una delle poche, in Italia, in grado, con i suoi studi, con la sua militanza, anche nella Cgil, e con le sue analisi di farci riflettere sui cambiamenti avvenuti in questi anni nelle strutture e nel funzionamento delle imprese, capaci di cambiare il volto della società. Proprio sul tema del lavoro, l’ex operaio Fiat, diventato professore emerito di Sociologia industriale nell'Università di Roma "La Sapienza, ha dedicato la sua vita pubblicando numerosi libri tra i quali "La parabola del sindacato" (1992), "Era il secolo del Lavoro", "Il mondo della produzione. Sociologia del lavoro e dell'industria" (con il Mulino) e "L'ultimo tabù" (1999 con Laterza). Accornero iniziò la sua carriera come operaio alla Riv di Torino. Membro della Commissione interna fu uno dei licenziati per rappresaglia di quegli anni. Giornalista e commentatore per l'Unità, fin dal suo primo libro del 1959, "Fiat confino. Storia della O.S.R.", Accornero non smette mai di occuparsi di lavoro, della condizione operaia dentro e fuori la fabbrica, delle trasformazioni sociali e di relazioni industriali. Ricordare la sua figura significa tracciare, seppure sinteticamente, il contributo che ha lasciato al mondo del lavoro e a chi se ne occupa.

“Le radici del cambiamento del lavoro” rappresentano l’eredità tematica seguita nel corso dei suoi studi. Appena iniziato il XXI secolo, secondo Accornero, i cambiamenti del lavoro sono tanta parte del cambiamento sociale iniziato con la «grande trasformazione» del XIX secolo che aveva fatto nascere nel Regno Unito il mercato del lavoro, il lavoro salariato e la produzione industriale; ma anche quella che nel XX secolo ha introdotto negli Stati Uniti il scientific management, l’assembly line e la produzione di massa.

Secondo Aris i cambiamenti che contrassegnano queste tre epoche di storia del lavoro non possono avere radici dirette in agenti ed eventi come le vittorie del neoliberismo o dei governi Thatcher-Reagan, semplicemente perché li trascendono. In tutte e tre le epoche c’è stata una transizione storica da un modello di produzione e di consumo a un altro, e il lavoro è cambiato, anzitutto, perché sono cambiate le strutture e il funzionamento delle imprese.

Accornero non ha mai cessato di farci notare che queste grandi trasformazioni sono ancora in corso. Per rifondare i rapporti con il mercato, milioni di imprenditori e manager hanno rinunciato alle rigidità del fordismo destrutturando e ristrutturando le imprese per renderle più snelle, più piatte. Dopo un secolo, il processo di integrazione realizzato verticalmente dentro l’impresa ha invertito la rotta per realizzarsi orizzontalmente tra le imprese.

L’idea Toyota, fondativa per il postfordismo, è stata quella di rispondere alle ristrettezze del mercato locale diversificando e «personalizzando» l’offerta. Il potere di mercato del singolo cliente non è molto cresciuto, ma le sue scelte incidono più direttamente sui flussi di produzione, creando una variabilità della domanda e un’elasticità operativa senza precedenti. Le preoccupazioni e le speranze per il lavoro hanno per Accornero le loro radici in un meccanismo adattivo che si pungola da sé e che costituisce un ulteriore stadio della produzione capitalistica come «produzione di bisogni».
Tutto ciò ha reso vorticosa la demografia delle imprese, favorita anche dalla globalizzazione dei capitali; aumenta il numero e diminuisce la dimensione dei luoghi in cui si lavora. Ovunque si trovano spezzoni di lavoro e persone che lavorano con calendari complicati o in ore insolite o senza orari, magari da casa. Perfino i gruppi nati da grandi fusioni e acquisizioni si riorganizzano come un insieme di imprese con dimensioni minori di ieri.

Con il suo rigore da studioso, Accornero non trascura di segnalare che qualche miglioramento c’è, a parte l’abbattimento della fatica: il secolo ventesimo, iniziato con il motto «Non siete pagati per pensare», è finito con lo slogan «La qualità dipende da voi». Di fatto, competenze e prestazioni richieste ai lavoratori sono meno massificate anche perché le imprese, specie quelle nuove, privilegiano il lavoro di gruppo e anche il lavoro individuale, come richiede la produzione di serie in piccoli lotti.

In generale, i contenuti del lavoro tendono a diventare più cognitivi, cooperativi e polivalenti, perfino in certe attività standardizzate, anche se la maggiore autonomia «individualizzerà» il lavoro, che crescerà in senso funzionale, non totale. Chi lavora ha molti più mezzi e modi per operare, ma lo fa entro un reticolo di vincoli – informazioni, procedure, segnali – più ferreo della «gabbia di acciaio» di cui parlava Weber. Le nuove tendenze non devono stupire: il XX secolo non poteva essere l’ultimo o il migliore nella storia del lavoro.

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